
Iniziamo innanzitutto precisando che si dice rutto con la u, e non rotto come spesso si sente dire. Questa variante errata è solo una forma di ipercorrettismo diffusa soprattutto a Roma, per quanto ne so.
Distinguiamo come prima cosa le due tipologie esistenti: i rutti secchi e i rutti umidi.
I rutti secchi possono essere semplici ruttini o aumentare di intensità e/o di durata, trasformandosi in rutto-bomba (breve durata ma intensità importante) o rutto parlante (lunga durata e buona intensità), di cui forniamo un esempio tratto dal film Ovosodo di Paolo Virzì.
In questo ultimo caso bisogna saper usare bene il diaframma per consentire una emissione uniforme durante tutta l’eruttazione, evitando di perdere di volume in alcune delle sue parti, ad esempio alla fine. L’utilizzo di bevande gassate per produrre quest’ultima fattispecie di emissione è da sempre considerata alla stregua del doping.
Particolare categoria di rutti secchi sono i rutti silenziosi, che possono essere il classico “pst” di fine pasto o il rutto sibilante di lunga durata, utilizzato soprattutto come sfiato silenzioso in situazioni poco consone all’emissione sonora.
I rutti umidi sono invece la più spontanea forma di emissione, caratterizzata dal riempimento della faringe con fluidi in risalita. Spesso lasciano l’amaro in bocca e sono difficilmente modulabili e arrivare alle forme artistiche espresse dai rutti secchi. Di solito di durata breve o medio-breve, sono più frequenti nei soggetti più inclini alla gastrite o all’ernia iatale.
Nella prossima puntata proporremo un’analisi dettagliata delle flatulenze.
[immagine generata con starryai]